Fuga dal laboratorio? Nuovi indizi
Il pendolo della ricerca delle cause della diffusione dell'epidemia da coronavirus si muove con sempre più forza verso l'ipotesi della fuga da un laboratorio cinese - con ogni probabilità il Wuhan Institute of Virology - dove si facevano esperimenti di manipolazione dei ceppi virali. Quasi certamente la smoking gun che consentirebbe di dimostrare con certezza che il virus del Covid-19 è uscito da un mercato di animali o, per errore (non si pensa a un tentativo di produrre armi biologiche), da un laboratorio, non si troverà mai. Ma l'ipotesi di un virus manipolato nei laboratori e sfuggito per carenza delle procedure di sicurezza e limitata disponibilità di personale specializzato, circolata già nel 2020 e subito scartata come illazione inconsistente, nelle ultime settimane si è molto rafforzata.
Due anni e mezzo fa il maggiore sostenitore della tesi dell'intervento di una mano umana era stato l'allora presidente Trump che si era addirittura messo a fare del sarcasmo su una questione così grave chiamando il Covid -19 kung flu ( flu è l'inglese per influenza, ndr ). Davanti alla politicizzazione della questione molti scienziati si tirarono indietro. Ma non, ad esempio, il capo della Cdc di Atlanta dell'epoca, Robert Redfield, che dette credito all'ipotesi dell'errore di laboratorio. Nel febbraio del 2021, l'Organizzazione mondiale per la sanità cercò di chiudere la questione definendo «estremamente improbabile» l'ipotesi dell'intervento umano. Ma a metà del 2022 anche loro hanno cambiato rotta: ora invitano a indagare di più sull'ipotesi dell'incidente di laboratorio.
Più di recente sono tre i fattori che hanno spostato l'ago della bilancia verso l'ipotesi del virus «fabbricato» e sfuggito. Il primo è il rapporto «intermedio» dei repubblicani della commissione Sanità del Senato. Il documento, presentato giovedì scorso e firmato dal senatore Richard Barr, un conservatore moderato (tra i pochi che votarono per l'impeachment di Trump) che fra due mesi lascerà il Congresso, è il frutto di un'indagine bipartisan. Per ora i democratici si sono sfilati, ma dicono che la collaborazione continuerà: il documento finale potrebbe essere comune.
Il rapporto raccoglie i molti indizi di un incidente di laboratorio che ha consentito la fuga di un virus manipolato. In particolare appare inverosimile che due team di scienziati dell'esercito cinese siano riusciti a mettere a punto un vaccino, pronto nel febbraio 2020, in meno di due mesi. Per gli esperti che hanno partecipato ai lavori è assai più verosimile che il team abbia avuto accesso alla sequenza genomica del virus fin da novembre 2019. Dunque, cinesi responsabili per incuria, anche se la pista del mercato non è esclusa.
Il secondo passaggio è un saggio di 40 pagine frutto delle ricerche di un'equipe di giornalisti di Vanity Fair e di ProPublica. Hanno lavorato per 5 mesi facendo analizzare tutte le comunicazioni uscite dai laboratori cinesi e le interazioni col Comitato centrale del Partito comunista da esperti che parlano bene il mandarino e sanno decrittare il linguaggio opaco e ampolloso della comunicazione politica ufficiale. Molti indizi fanno pensare che a novembre 2019 i laboratori di Wuhan siano stati travolti da una gravissima emergenza per la quale si è mobilitato il vertice del partito e, probabilmente, lo stesso Xi Jinping. Intercettati allarmi precrisi dei laboratori per mancanza di risorse economiche e di personale per risolvere i complessi problemi che si presentavano. Un anno prima del disastro il direttore dell'istituto aveva scritto, in un articolo per una rivista scientifica cinese, di enormi problemi di sicurezza dei laboratori. E aveva avvertito: «La manipolazione dei virus in laboratorio può produrre grandi benefici, ma anche catastrofi».
Il terzo elemento è uno studio scientifico pubblicato da tre scienziati - un genetista del Montana, un farmacologo della Duke University e un ginecologo tedesco - secondo i quali la dimostrazione dell'origine non naturale del virus del Covid-19 va ricercata nel mondo in cui sono attaccati i vari segmenti del genoma. In natura queste «cerniere», chiamate restriction site (in italiano si parla di tagli con enzimi di restrizione), compaiono in modo casuale e in misura limitata lungo la catena del genoma. Quando c'è l'intervento dell'uomo (molti laboratori nel mondo manipolano virus a fini di ricerca medica e farmacologica) questi tagli sono molto più numerosi e non appaiono a casaccio ma ben distanziati.
I tre ricercatori sostengono di aver sperimentato questa loro teoria sul genoma del Covid-19, confrontandolo con quello di altri 70 coronavirus in natura: la differenza, dicono, è lampante. Qui gli scienziati si sono divisi in due gruppi: quelli - pochi - che fin dall'inizio hanno considerato certa l'origine animale del virus, liquidano il metodo proposto dai loro tre colleghi come inaffidabile, fallace. Altri, colpiti dalla semplicità di un metodo al quale nessuno aveva pensato prima, stanno riproducendo l'esperimento sui database dei loro campioni, alla ricerca di conferme. Che probabilmente ci saranno, e porteranno a considerare altamente probabile della manipolazione genetica del virus del Covid-19; ma non consentiranno comunque di arrivare a una certezza assoluta.
Fonte: CORRIERE DELLA SERA