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In una democrazia che aspiri alla trasparenza la comprensione non deve essere negata a nessuno, soprattutto non ai diretti interessati. Eppure il linguaggio delle amministrazioni – che dovrebbero prendere in carico i problemi dei cittadini per risolverli – costituisce un problema da sempre, perché è molto complesso e spesso incomprensibile.
Nasce da una rete complicata di affluenti: il linguaggio giuridico, quello burocratico e quello amministrativo. Ha poi innumerevoli dialetti secondo le categorie che lo usano, ministeri, forze dell’ordine, amministrazioni private, ognuna con la propria terminologia. Il grado elevato di tecnicità è connesso con la sua funzione normativa e prescrittiva e con la necessità di essere univoco, per evitare contestazioni.
A quest’esigenza tipica e razionale, però, si è aggiunta con il tempo una sorta di griffe per la quale gli appartenenti all’amministrazione aggiungono del proprio, dei veri e propri manierismi. Insomma una stratificazione complessa che crea una situazione asimmetrica: le risorse che sono una facilitazione per chi scrive – un magazzino di formule e frasi fatte pronte all’uso – sono al tempo stesso una complicazione per chi legge, che trova molto più ardua la comprensione dei testi così ottenuti.