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Di Nicola Calabrese – Vice Segretario Nazionale
Il comparto dei Fondi Sanitari Integrativi, in carenza di una regolamentazione e di un’adeguata governance, rischia di trasformarsi da strumento di tutela e di corretta finalizzazione della spesa sanitaria privata dei cittadini in apripista di una sanità delle assicurazioni. Questa l’indicazione espressa nella mozione finale del 71° Congresso Nazionale FIMMG svoltosi a Domus De Maria (CA) dal 5 al 10 ottobre. Il tema dell’assistenza integrativa è stato affrontato nel corso di una tavola rotonda dal titolo “Fondi Sanitari Integrativi: amici o nemici del SSN”. Questione delicata quello della definizione del ruolo del cosiddetto II Pilastro in un paese che ha fondato il proprio welfare sanitario, per garantire universalismo ed equità, quasi esclusivamente sul finanziamento pubblico (77,7% - fonte OCSE). Questione che però diventa quanto mai attuale in un momento in cui le politiche di definanziamento del SSN che si stanno attuando determinano una serie di conseguenze pratiche sui cittadini.
Il paese è spaccato in due. La spesa sanitaria privata è aumentata del 9,2% dal 2007 al 2012 in Italia per scendere del 5,7% nel 2013 con differenze sostanziali nel paese. Nel 2012, anno di maggior incremento della spesa sanitaria privata, nelle regioni del nord è + 25,45% rispetto al valore medio nazionale mentre al sud è – 34% rispetto a tale valore. In Calabria, Sicilia e Campania il valore di spesa pro capite, nonostante la tendenza nazionale, si riduce ad un valore più basso di quello registrato nel 2002. Paradossale appare la constatazione che un pezzo del Paese riesce comunque ad accedere alle cure pagando di tasca propria e una parte, 11,3% da un’indagine ISTAT riferita al 2012, rinuncia a curarsi sia per motivi economici (6,2%) sia per motivi di offerta (4%). Al Sud e nelle Isole la percentuale di chi non si cura per motivi economici è quasi il 10% rispetto al 3,7% del Nord Ovest.
I segnali di ripercussioni sulla qualità delle cure erogate nel nostro paese a seguito delle scelte fatte sul governo del Sistema Salute ci sono tutti. L’OCSE nella revisione sulla qualità dell’assistenza sanitaria in Italia presentata a gennaio di quest’anno, pur nel giudicare “notevoli” gli indicatori di esito, qualità ed efficienza del sistema sanitario nazionali, afferma che le politiche di miglioramento della qualità e di riorganizzazione del sistema hanno assunto un ruolo secondario quando la crisi economica ha iniziato a colpire, divenendo prioritarie le politiche di risanamento finanziario.
In questo scenario come si collocano i Fondi Sanitari Integrativi? Dal 2008 al 2011, grazie soprattutto alla componente contrattuale, è aumentato il numero di iscritti ai Fondi. Secondo alcune stime sono 6 milioni gli italiani che hanno aderito ad un fondo integrativo e considerando anche i familiari in totale gli aderenti diventano 11 milioni. Secondo una ricerca di RBM Salute Censis il 55% delle prestazioni erogate nel 2011 dai fondi integrativi sono di tipo sostitutivo cioè prestazioni erogate anche dal SSN, il 34,7% di tipo complementare (integrative non ricomprese nell’elenco delle prestazioni vincolate del DM Sacconi del 2009) e solo il 10,2% integrative. La realtà è che mentre esiste un problema di disponibilità di risorse del SSN difatti il pubblico finanzia due volte pezzi di sistema. Da una parte il SSN, dall’altra, attraverso il beneficio fiscale di cui godono i fondi, le prestazioni sostitutive erogate dal II pilastro. Sempre nella stessa ricerca nel 2011 è di 500 milioni di euro l’importo liquidato dai fondi per un numero di sinistri pari a 4 milioni. Non è più possibile continuare a non governare il sistema. Soluzioni tampone che individuano nell’attività dei medici gli sprechi della Sanità non sono più credibili. Gli sprechi sono nell’incapacità di adottare politiche strutturali di sistema che coinvolgono i medici nelle scelte. Gli sprechi sono nell’incapacità di definire politiche organizzative che definiscono chi fa e che cosa. È in discussione la sopravvivenza del nostro sistema di cure. Continuare in questa direzione comprometterà in maniera irreversibile non solo l’universalismo del nostro SSN ma anche il principio di solidarietà da cui dipende il suo finanziamento. Il danno sarebbe di una gravità devastante alla luce anche di quanto sembra emergere dai risultati del programma di ricerca EUROCARE 5, coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità e dalla Fondazione IRCSS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano presentati il 26 settembre a Vienna in occasione dell’annuale appuntamento dell’European Cancer Congress. I risultati, tra l’altro dimostrano che la sopravvivenza per tumore è più elevata nei paesi del Nord (59.6%) e Centro Europa (58%), intermedia nel Sud Europa (54.3%) e in Irlanda e UK (50%), e ai livelli più bassi nell’Est Europa (45%).
La sopravvivenza è correlata con la spesa sanitaria nazionale totale e i maggiori incrementi di sopravvivenza si sono registrati nei paesi dove la spesa è aumentata maggiormente (http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=2258).
Di qui la necessità di non rinviare ulteriormente la responsabilità di governare in maniera strutturale la politica sanitaria del nostro paese. È in gioco la responsabilità politica di dover giustificare quei 5 punti percentuali in meno di sopravvivenza per tumori rispetto ai paesi del nord Europa.