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Le sfide sanitarie di un Paese in declino demografico
Quella demografica va sempre più configurandosi come la nuova emergenza che sta trasformando e impoverendo di vitalità la popolazione italiana. Secondo l'Istat, al 1° gennaio 2019 vivevano stabilmente in Italia 60 milioni e 391 mila persone, ben 405 mila in meno rispetto alla punta massima dei 60 milioni e 796 mila residenti registrati alla stessa data di quattro anni fa. Siamo di fronte alla prima consistente diminuzione della popolazione dal lontano biennio 1917-1918; allorché gli effetti della Grande Guerra si sommarono a quelli dell'epidemia di «spagnola». Lo scrive Giancarlo Blangiardo Presidente Istat, sul Corriere della Sera.
Siamo in presenza dell'inequivocabile segnale di una dinamica recessiva che va progredendo entro un Paese in cui il crollo della natalità - che con i 449 mila nati del 2018 ha stabilito per il sesto anno consecutivo il record del livello più basso in oltre 150 anni di Unità Nazionale - non ha più trovato adeguato supporto nel contributo dei flussi migratori. Non sorprende dunque che la questione demografica sia prepotentemente venuta alla ribalta, mettendo a nudo l'ampia varietà dei problemi tipici di una società che, da un lato, invecchia nell'incapacità di garantirsi un sufficiente ricambio generazionale, dall'altro si dimostra sempre meno attrattiva e persino più propensa a perdere, per effetto delle crescenti emigrazioni di connazionali, una parte importante del suo stesso capitale umano, spesso il più giovane e intraprendente. Ma allora quale futuro si preannuncia per la sanità di una popolazione che sul piano demografico ha imboccato un percorso critico di cui non si intravvedono segnali di inversione? Se oggi garantire a quasi 14 milioni di ultra 65enni (pari a circa il 23 per cento della popolazione) un'assistenza dignitosa sembra, oltre che doveroso, ancora possibile, è opportuno domandarsi se, e come, saremo in grado di soddisfare la stessa domanda anche solo tra vent'anni, allorché gli anziani saranno saliti di altri 5 milioni, raggiungendo il 32 per cento del totale dei residenti. Ma soprattutto viene da chiedersi quali strategie andranno avviate per garantire la tenuta degli equilibri di welfare - e in primo luogo proprio nel campo della salute - se si mette in conto lo straordinario prevedibile accrescimento del numero dei "grandi vecchi". Va ricordato, in proposito, che le prospettive demografiche mostrano come gli ultra 90enni, oggi circa 800 mila, siano destinati ad aumentare di oltre mezzo milione nei prossimi vent'anni e come, al loro interno, persino gli ultra centenari, attualmente 14 mila, dovrebbero superare le 50 mila unità. Il fatto che la vita si allunghi non può che essere una buona notizia. Ma non va dimenticato che una vita più lunga significa anche un maggior rischio, e una crescente frequenza, di tutte quelle patologie, cronicità e disabilità tipicamente connesse alla vecchiaia. In ogni caso, il compito della demografia e della statistica è unicamente quello di evidenziare fenomeni e tendenze, illustrando e documentandone le caratteristiche, al solo fine di chiarire e creare consapevolezza. Spetta ad altri, e in particolare a chi decide, operare le scelte e gli interventi atti ad assicurare la qualità dell'offerta in campo sanitario, ma non dimentichiamoci tuttavia che la tenuta del sistema dipende altresì - già oggi ed ancor più in futuro - dai modelli culturali e dai comportamenti di noi tutti.
Giancarlo Blangiardo Presidente Istat
Fonte Corriere della Sera