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«Così non reggiamo più»
Roma, Milano, Bergamo e Cosenza: quattro città per cinque testimonianze di medici di base. Per tutti è «il lavoro più bello del mondo», ma negli anni si è trasformato e burocratizzato. «Dobbiamo e vogliamo riappropriarci della relazione umana», spiegano, «è alla base di questa professione».
La sala d''attesa è quasi sempre affollata: giovani e anziani, italiani e stranieri, le sedie non bastano e c''è chi attende in piedi, anche per diverse ore. È la scena che si ripete in ogni giorno di apertura degli studi dei medici di medicina generale: i pazienti assegnati a ciascuno sono sempre di più - per alcuni arrivano ormai a 1.800 - e loro, i medici, sono sempre di meno. Il lavoro è aumentato, ma soprattutto è cambiato. Così come sono cambiati i pazienti. Il "giro" di boa è stato, senza dubbio, la pandemia, che ha segnato un''era, anzi due: quella prima e quella dopo il Covid. La crisi dei medici di medicina generale, certificata dai dati della Fondazione Gimbe, si configura ormai come "emergenza strutturale", che riguarda più il nord che il sud Italia, ma che mette a rischio un tassello fondamentale del Sistema sanitario nazionale.
«La crisi per il momento si avverte più al Nord che al Sud, ma fra poco arriverà anche lì - spiega Fiorenzo Corti, vicesegretario nazionale della Fimmg, il sindacato maggioritario dei medici di famiglia -. All''ultimo concorso in Emilia Romagna si sono presentati meno di 400 su 500 posti disponibili, in Lombardia lo scorso anno su 500 posti si sono presentati in 280. La "diagnosi" c''è (la carenza strutturale di medici di famiglia), ora serve la terapia: cosa si può fare per affrontare questa crisi? Non serve una toppa, ma una soluzione strutturale che tuteli la qualità dell''assistenza, quindi la libertà di scelta del medico da parte dei cittadini e di conseguenza il rapporto di fiducia tra medico e paziente. In questi giorni si parla di trasformare il medico di famiglia in una sorta di impiegato della pubblica amministrazione, percorso che rischia di spersonalizzare ulteriormente la medicina di famiglia. Attualmente, il tempo dedicato alla relazione con il paziente, il "tempo persona", in alcuni casi sta diventando marginale rispetto al "tempo video": anziché guardare le persone negli occhi, dobbiamo accedere a piattaforme, mail, applicazioni, con grande sofferenza del medico che ha scelto di fare questo lavoro e del paziente che non si sente accolto, ascoltato. Le nostre proposte ci sono, ma per "ballare il tango" bisogna essere in due e il variegato mondo delle regioni non aiuta».