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Scatole vuote ancora da riempire con personale e attività
Delle case di comunità già attive si parla spesso come di "scatole vuote", prive di personale e poco conosciute in generale. Sono i poliambulatori pubblici pensati per rafforzare la medicina territoriale dopo la pandemia, per i quali sono stati stanziati due miliardi di euro del PNRR, il piano di riforme e progetti finanziato con fondi europei. In tutta Italia dovrebbero aprire, stando alle ultime informazioni confermate dal ministero della Salute, 1.416 case di comunità entro giugno del 2026. I report di monitoraggio a livello nazionale più aggiornati non sono disponibili, in molte regioni non c''è abbastanza personale per garantire le prestazioni previste, e in generale ci sono grosse differenze nel servizio tra le regioni che in passato avevano già sperimentato modelli di assistenza sanitaria territoriale simili e tutte le altre.
La carenza dei medici nelle case di comunità emerge anche in un riepilogo presentato di recente in consiglio regionale in Lombardia, e che il Post ha letto. A fine dicembre risultavano attive 130 case di comunità, di cui 13 provvisorie, su circa 190 previste. Di queste solo 38 rispettano il requisito dell''apertura 24 ore su 24 per sette giorni, mentre in 109 c''è un''équipe multidisciplinare. Solo nel 28 per cento dei casi c''è un medico 24 ore su 24 e solo nel 16 per cento delle strutture è garantita la presenza di un infermiere per 12 ore al giorno. Con l''eccezione dei servizi dedicati alla salute mentale, presenti in meno della metà delle 130 case di comunità attive (e che però non sono obbligatori ma solo raccomandati), gli altri servizi risultano attivi nella maggior parte delle strutture (le percentuali sono sopra il 70 per cento). Sono solo sette però finora le case di comunità in cui i servizi rispettano tutti i requisiti necessari.
Sempre sulla Lombardia, a novembre anche la Corte dei conti - l''organo che vigila sulle spese pubbliche - aveva evidenziato criticità simili. Nella relazione veniva sottolineata in particolare la difficoltà a trovare medici di medicina generale e pediatri disponibili a lavorare nelle case di comunità, un problema ricordato dallo stesso presidente regionale Attilio Fontana pochi giorni fa. Nel testo tra le altre cose si osserva che c''è una forte disomogeneità negli ingressi settimanali delle singole case di comunità: in alcune risultano del tutto assenti, in altre sono più di 5.600.
Fiorenzo Corti, medico di base e vicesegretario della FIMMG a Milano, dice che oggi i medici di medicina generale nelle case di comunità «si contano sulle dita di una mano» (è un''iperbole, ma dà l''idea di quanto pochi siano sui circa 3.800 attivi in tutta la regione). Dice che i medici di medicina generale non si oppongono al lavoro nelle strutture in sé, ma non è ancora abbastanza chiaro cosa debbano fare, cioè come debbano essere suddivise le attività tra gli ambulatori esterni e le case di comunità. Secondo Corti, chi sta già nelle case di comunità oggi lavora infatti essenzialmente come in qualsiasi altro ambulatorio esterno: «I medici hanno lì il loro studio invece che altrove. Non c''è ancora la logica multidisciplinare nella presa in carico del paziente». Inoltre, sostiene Corti, per ora la telemedicina è perlopiù assente dalle case di comunità e gli unici posti in cui la si usa già per l''assistenza domiciliare sono le farmacie.
Ci sono poi delle differenze tra le diverse regioni che sono date dalla situazione di partenza di ciascuna. In alcune, infatti, esisteva da anni un modello di assistenza territoriale che ha molte somiglianze con quella che il governo intende realizzare con il PNRR in modo omogeneo in tutta Italia. In altre invece è tutto da costruire. In Emilia-Romagna, Toscana e Piemonte, per esempio, ci sono le "case delle salute", cioè presidi dove si offrono già vari servizi di assistenza sanitaria primaria e per la gestione delle patologie croniche. Più di un quarto delle circa 500 case della salute aperte in tutta Italia è in Emilia-Romagna, dove l''idea è infatti integrare i servizi e il modello organizzativo in modo tale da renderle case di comunità, in aggiunta a quelle che saranno costruite con i soldi del PNRR.
In Toscana la situazione è simile, racconta Niccolò Biancalani, medico di medicina generale a Prato e segretario regionale della FIMMG. Lì le case della salute esistono da più di dieci anni, sono un''ottantina e ci lavorano oltre 500 medici di medicina generale su circa 2.500 totali nella regione. Biancalani dice che di fatto le case della salute possono essere considerate antesignane delle case di comunità, perché all''interno lavorano già medici di medicina generale (in settimana fino alle 19), infermieri e specialisti che si prendono cura anche dei pazienti cronici con piani di assistenza individuale. In molte strutture vengono già effettuati esami di diagnostica di primo livello, come ecografie ed elettrocardiogrammi.
In Piemonte invece i medici di medicina generale stanno molto insistendo per far sì che vengano attuate alcune forme di assistenza sanitaria territoriale che in teoria sono già previste, ma per cui mancano gli accordi regionali. Roberto Venesia, medico a Torino e segretario regionale della FIMMG, spiega che per consolidare l''organizzazione che avranno le case di comunità a pieno regime sarebbe già utile rendere del tutto operative le aggregazioni funzionali territoriali (AFT): sono reti che con circa 20 medici di base per 20mila pazienti assicurano un''assistenza dalle 8 alle 20 tutti i giorni. In alcune province della Calabria, come quella di Cosenza, le AFT sono già attive e secondo Rosalbino Cerra, medico di base, potrebbero facilmente collocare la propria sede all''interno delle future case di comunità calabresi. Al momento però, dice sempre Cerra, è aperta solo quella di Palmi. I lavori per le altre sono ancora molto indietro.
Fonte Il Post