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Per la medicina di famiglia, "oggi non serve una riforma, c'è già: è stata fatta nel 2012 Le Case di comunità? Ancora non chiara la loro funzione". Così Silvestro Scotti, in un'intervista ad Avvenire.
Sembra che si dimentichi che una riforma dell'assistenza territoriale è già stata fatta con la legge Balduzzi nel 2012, che riprendeva una proposta nata nella Fimmg (Federazione italiana dei medici di medicina generale) già 5 anni prima. In questa legge sono previste le aggregazioni funzionali territoriali (Aft), gruppi di 20-25 medici organizzati in un ruolo unico, ovvero nella capacità di svolgere parte delle attività di scelte e di avere debiti orari rispetto a queste forme organizzative. La crisi economica di quegli anni ha bloccato i rinnovi contrattuali e siamo arrivati all'aprile 2024 a firmare il rinnovo della Convenzione anni 2019-2021, che applica la riforma Balduzzi. Le Regioni avrebbero dovuto fare atti di programmazione per stabilire come venivano raggruppati nelle Aft i medici di famiglia, che avrebbero dovuto garantire una presenza di 16 ore giornaliere. Poche lo hanno fatto nel 2020, qualcuna dal 2022 dopo il Decreto ministeriale 77. Che però - ricordo - ha valore giuridico inferiore a quello della legge. Con il Pnrr si sono finanziate le strutture, le Case della comunità, ma mancano gli atti di programmazione per associarle a una o più Aft di riferimento. Per quello che mi riguarda, non serve una riforma, che già c'è. 2 È difficile parlare di Casa della comunità, perché non è chiara la funzione che dovrà svolgere. Se il medico di famiglia va e trova un aumento dell'intensità assistenziale grazie ad altre professionalità, per la presa in carico complessa di alcuni gruppi di pazienti (diabetici, bronchitici cronici, oncologici), grazie all'intervento dello specialista di riferimento, dell'infermiere, di uno psicologo, allora c'è un'offerta che si aggiunge a quella ordinaria del mmg. Ma se il medico va in una Casa di comunità per fare una medicina di attesa, dove il paziente trova un'offerta di un medico "a consumo", e che non sarà il suo medico curante, non credo che funzionerà. Credo che ci sia bisogno di unificare Dm70 e Dm77 per governare i rapporti tra l'ospedale e territorio, attraverso un nuovo Dm. 3 La Fimmg non vede vantaggi perché per il medico significherebbe cambiare completamente il suo modello vocazionale. Il medico delle cure primarie non può avere un orario di cura, ma un tempo di cura: devo poter dedicare al paziente il tempo che merita rispetto al suo bisogno. Nel momento in cui passo a un rapporto a ore, formalmente lavorerò con l'obiettivo di completarle: fuori dal mio orario voglio essere lasciato tranquillo come qualunque altro lavoratore. E probabilmente gli indicatori saranno solo il numero di visite che farò all'interno di quelle ore. In più, come potranno i cittadini scegliere il medico, se è un dipendente organizzato con turni orari? La domanda poi va fatta al cittadino: pensa che il suo medico sia disponibile e presente nella sua presa in carico (reperibilità, studio, domiciliarità, back office) più o meno di 38 ore settimanali? E poi valuti se gli conviene. Tuttavia cambierebbe anche il comportamento motivazionale del medico, il cui stipendio ora dipende dalla scelta del cittadino, e che quindi è orientato a mantenere una relazione basata sulla fiducia. Altro problema è che se gli 11mila medici che oggi potrebbero andare in pensione vedono tradita la loro vocazione e si sentono bocciati, escono dal sistema e si guarderanno intorno. E magari creano cooperative di gettonisti per il territorio, con lo slogan: qui troverai il tuo vecchio medico di famiglia. 4 L'attuale diploma di formazione in Medicina generale discende da una disciplina europea per rendere possibile la libera circolazione dei medici all'interno dell'allora Comunità, oggi Unione Europea. Il processo legislativo in Italia nacque da due leggi diverse nel 1991, poi unificate nella legge 368 del 1999. L'intenzione del legislatore non era definire che quello per la Medicina generale è un corso di serie B, rispetto alla specializzazione ospedaliera, ma un percorso separato: dopo la laurea, ci doveva essere una scelta vocazionale o verso l'ospedale o verso il territorio. Non sono contrario all'evoluzione verso la specializzazione in Medicina generale, ma sono contrario all'idea che si rompano i due percorsi di formazione diversi l'uno dall'altro. Bisogna considerare che l'università per organizzare la specialità in Medicina generale deve coinvolgere gli stessi medici di medicina generale e creare un nuovo dipartimento.
Fonte Avvenire