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Di Carlo Curatola
Di seguito la lettera inviata agli organi di stampa:
Gentile direttore,
quello dei medici di medicina generale, se fosse un caso clinico, sarebbe un caso ad eziopatogenesi multifattoriale.
Prevenibile? Sì, probabilmente lo sarebbe stato se non fossero andati in fumo i numerosi appelli sul rispetto della programmazione delle risorse umane che da circa un ventennio la nostra sigla si spende a portare all''attenzione delle istituzioni. Non con proclami basati su principi corporativistici, come qualcuno vorrebbe far credere, ma con dati, numeri, proiezioni di precisione chirurgica, indicizzati per fabbisogno regionale e fondati su previsioni ottimistiche, mai pessimistiche, che orientavano la stima del fabbisogno al raggiungimento dell''anagrafica dei 70 anni.
Poi arriva la pandemia e ci scopre in numero risicato con numeri già decurtati. In alcune zone le flotte dei medici di medicina generale erano già state decurtate del 25-30% rispetto all''organico ottimale e questa operazione di downgrading aveva già raggiunto i suoi picchi nelle regioni del Nord, quelle che hanno dovuto ergersi a prima fila nella grande guerra contro il COVID.
Prima ridotti ai minimi termini, ulteriormente decimati dalla malattia e dai decessi, poi anche derisi. Mi sembra davvero troppo.
Vero, il compito dello Stato deve essere quello di ottimizzare l''assetto dei propri reparti (scusate se ho usato la metafora della guerra, non temete come ogni medico ripudio la guerra), ma se volete che analizzi il caso clinico nella sua fattispecie devo anche trasmettere il vissuto dei medici che rappresento. E se volete un mio parere, in questo periodo molto vicino ad uno scenario di guerra, non c''è stata una istituzione che sul depauperamento delle flotte si è assunto una responsabilità pubblicamente.
Ma torniamo al caso clinico. Eziopatogenesi multifattoriale abbiamo detto, quindi non possiamo imputare esclusivamente agli errori di programmazione la genesi del caso clinico.
Siamo tra le nazioni più vecchie del mondo, forse anche grazie ad una sanità territoriale che funziona nella sua capacità di essere capillare e di soddisfare i fabbisogni crescenti della popolazione trasferendo nell''abitazione come luogo di cura gran parte degli obiettivi di presa in carico nel rispetto della cultura e del credo religioso familiare. In 10 anni le persone assistite a domicilio sono più che raddoppiate. L'' Annuario Statistico del Ministero della Salute riporta che dal 2013 al 2023, si è passati da 730mila a 1.645.000 prese in carico domiciliari a diverse intensità di cura. Non lo dicono i sindacati, quelli brutti e corporativi.lo dice il Ministero. E anche qui la narrazione del medico di famiglia che non si reca più a domicilio si infrange impietosamente sui numeri. La popolazione invecchia, aumentano i fabbisogni di salute, aumenta la necessità di ottimizzare una risposta medica da parte delle cure primarie necessariamente più performante. Una risposta evoluta che nell''organizzazione e nelle nuove tecnologie deve poter armonizzare il proprio fulcro.
Uno studio recente condotto da Cergas-Bocconi, stima che un medico di famiglia ha mediamente 35 contatti diretti e 70 indiretti al giorno con i pazienti. Questi ultimi costituiscono il sempre più corposo back- office: telefonate, mail e richieste pervenute tramite i più eterogenei canali di comunicazione messi al servizio dell''utenza. Trovatemi un altro professionista che al di fuori del rapporto di fiducia, della conoscenza della storia clinica del paziente e della sua famiglia e dello status giuridico che gli consenta la necessaria autonomia organizzativa, riesca a gestire questi numeri.
Si imputa alla medicina generale la mancanza di volontà di evolversi. Nulla di più sbagliato. Oggi un terzo dei medici di medicina generale è già organizzato in forme associative in attesa che contrattazioni sempre più sfidanti vengano messe a terra. E qui cito il mio Segretario Nazionale: "Sembra che si dimentichi che una riforma dell'assistenza territoriale sia già stata fatta con la legge Balduzzi nel 2012, che riprendeva una proposta nata nella FIMMG già 5 anni prima. In questa legge sono previste le aggregazioni funzionali territoriali (AFT), gruppi di 20-25 medici organizzati in un ruolo unico, ovvero nella capacità di svolgere parte delle attività di scelte e di avere debiti orari rispetto a queste forme organizzative. La crisi economica di quegli anni ha bloccato i rinnovi contrattuali e siamo arrivati all'aprile 2024 a firmare il rinnovo della Convenzione anni 2019-2021, che applica la riforma Balduzzi. Le Regioni avrebbero dovuto fare atti di programmazione per stabilire come venivano raggruppati nelle AFT i medici di famiglia, che avrebbero dovuto garantire una presenza di 16 ore giornaliere. Poche lo hanno fatto nel 2020, qualcuna dal 2022 dopo il Decreto ministeriale 77. Che però - ricordo - ha valore giuridico inferiore a quello della legge. Con il Pnrr si sono finanziate le strutture, le Case della comunità, ma mancano gli atti di programmazione per associarle a una o più AFT di riferimento. Per quello che mi riguarda, non serve una riforma, che già c'è".
I medici di medicina generale non hanno paura di essere sfidati nell''evoluzione contrattuale che preveda per esempio dei requisiti, dei contenuti organizzativi minimi che possano influenzare e blindare il numero di collaboratori e di infermieri per gruppi di medici, per esempio. Purché sia un''evoluzione contrattuale che non metta in discussione il rapporto di fiducia con il cittadino, la capillarità e che non metta in discussione l''unico status giuridico che ne consenta il mantenimento delle proprie caratteristiche di ruolo per il cittadino, lo status giuridico di libero professionista convenzionato. L''unico in grado di valorizzare il tempo di cura più che l''ora marcata sul cartellino.
La contrattazione collettiva nazionale garantisce e mette al centro il ruolo sussidiario di una professione intellettuale ordinistica che non può regredire ad una subordinazione su base oraria.
A fronte di uno scenario che possa prevedere il passaggio alla dipendenza si favorirebbe la fuoriuscita precoce dei professionisti che attualmente hanno i requisiti contributivi minimi (si stimano 11.000 MMG in possesso di tali requisiti, 16 mln di italiani rischierebbero di rimanere senza MMG). Tra l''altro potrebbero uscire dalla porta della medicina generale per rientrare dalla finestra nella medicina generale tramite sistemi privatistici, cooperativistici molto più convenienti dal punto di vista delle responsabilità e della conciliazione famiglia-lavoro. In pratica si replicherebbe quello che sta accadendo con i gettonisti per il personale dei nostri PS. Medici dei PS anche loro vittime come noi di una politica che prima riduce i PS, poi taglia i posti letto dei reparti. Politica che poi, pur consapevole di aver tagliato i numeri dei MMG e accorgendosi (sempre Annuario Statistico 2023 del Ministero della Salute) che nonostante tutto i numeri assoluti degli accessi ai PS siano diminuiti di due milione in 10 anni .cosa fa? Dà la colpa ai MMG.
Allora a questo punto fatemi capire: i MMG sono un caso clinico vero? O forse qualcuno ci ha costruito un caso clinico per mascherare le inadempienze di altri sistemi? Di certo i medici di medicina generale non faranno finta di essere malati immaginari. Saranno pronti alle prossime sfide che non potranno che vederli protagonisti. E lo faranno nella consapevolezza di essere la professione sanitaria più gradita dal cittadino, nonostante tutto, nonostante tutti.
Carlo Curatola
Esecutivo Nazionale Fimmg