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"L'Italia è un Paese che invecchia, ma questo non ci dispiace: vuol dire avere persone che vivono più a lungo. Però l'ottica del mercato non può essere applicata a questo settore: più la sanità funziona, più produce anni di vita non sempre correlati alla buona salute. Ecco perché dico che le logiche perfette di mercato non possono essere applicate al mondo della salute e della sanità". Lo dice Alberto Oliveti, presidente Enpam, in un''intervista a Fortune Italia.
Piuttosto occorre fare bene i conti e avere capacità di programmazione. L'Italia sta invecchiando, così come i suoi medici. In che modo l'Enpam sta affrontando la sfida demografica e in che condizioni di salute è la cassa dei 'camici bianchi'? Come Fondazione abbiamo un numero di pensionati importante: a fronte di 365.000 professionisti attivi, abbiamo 130.000 pensionati medici più altri 45.000 familiari. Quindi, se vogliamo fare un ragionamento grossolano, siamo a un rapporto di due a uno, che sottende un sistema maturo. Dal punto di vista previdenziale l'attenzione è focalizzata a mantenere la componente attiva. L'importanza del flusso contributivo è fondamentale, ma lo è anche la capacità di far rendere il patrimonio al meglio, per finanziare le prestazioni. Dunque è importante lavorare per un volano virtuoso che tuteli l'accesso alla professione. In quest'ottica come valuta la riforma dell'accesso a Medicina? Siamo una Repubblica democratica fondata sul lavoro, ma la salute può essere considerato un prerequisito di libertà e, quindi, di potenzialità lavorativa. Ecco allora che la programmazione in Medicina è fondamentale. Il numero programmato significa capacità di pianificazione, ovvero di determinare correttamente non solo la quantità, ma anche la tipologia qualitativa dei professionisti che servono al Paese. Ad esempio, una corretta programmazione mi fa dire che domani potrò aver bisogno di dieci chirurghi toracici, otto addominali, quattro chirurghi plastici, per parlare solo di chirurgia. Ma oggi nessuno vuol fare più il chirurgo addominale. E questo non va bene. Quindi, tornando alla questione di partenza: numero chiuso no, numero aperto no, ma numero programmato sì. Come? Sulla base di un sistema sanitario fatto di tre macro-aree fondamentali: l'ospedale, il territorio e la medicina pubblica e preventiva. Occorre individuare le specializzazioni coerenti per qualità e numero, necessarie per far funzionare questi tre macro aggregati del Ssn. Una bella sfida. Ma in queste settimane siamo anche alle prese con la questione del rinnovo della convenzione dei medici di famiglia: lei si è già detto contrario, può spiegarci perché? Il medico di famiglia è un medico del territorio, all'interno del quale la casa sarà il primo luogo di cura. Io credo che questo operatore della salute sia il medico del cittadino. Ogni cittadino ha diritto alla scelta di un professionista con il quale intraprende una relazione che potenzialmente è a vita. Grazie a questa relazione nel tempo si acquisisce la conoscenza della salute della persona, del suo lavoro, della famiglia. Una vicinanza preziosa, dal momento che il tempo medico è un tempo clinico. Quindi credo che il medico di famiglia debba essere un professionista che ha una relazione fiduciaria e prolungata nel tempo con le persone che lo hanno scelto. Questo fa sì che ottenga una remunerazione legata alla relazione con il cittadino: abbiamo un libero professionista con il suo bagaglio di competenze, che risponde al cittadino paziente. Se il medico è un dipendente, risponderà invece al datore di lavoro e a logiche che magari esulano dalla salute. Penso alle logiche di mercato, al rispetto della regolamentazione, alla burocrazia, che superano il concetto cardine di relazione medico-paziente. Pensiamo poi che il medico di famiglia, e il pediatra di libera scelta, ormai sono raggiungibili anche via mail o via whatsapp per un quesito, una domanda, un consiglio. Disponibilità che esulano dal rapporto di dipendenza.
Fonte Fortune Italia