Non sempre è "indice" di autonoma organizzazione ai fini Irap
Con la Sentenza 28 gennaio 2015, n. 1662, la Suprema Corte di Cassazione spezza una nuova lancia in favore dei medici di medicina generale esentandoli dall’imposta sulle attività produttive – IRAP – anche nelle ipotesi di esercizio dell’attività in forma associata.
L’arresto giurisprudenziale merita la giusta rilevanza in quanto è da considerarsi, per così dire, controcorrente rispetto ai precedenti orientamenti per i quali l’attività svolta in forma associata era considerata “in ogni caso” riconducibile in ambito Irap.
Così, ad esempio, nella Circolare n. 47/E del 2008, l’Agenzia delle Entrate, richiamando la Sentenza della Corte di Cassazione 11 giugno 2007, n. 13570, ebbe modo di precisare che “… lo scopo della pattuizione dell’esercizio associato di una professione intellettuale sia anche quello di avvalersi della reciproca collaborazione e competenza, ovvero anche della sostituibilità nell’espletamento di alcune incombenze (Cass. 6636/1987), … idonea a far presumere che il reddito prodotto non sia frutto esclusivamente della professionalità di ciascun componente dello studio, bensì di detta organizzazione associativa, costituita per potenziare la produzione di ricchezza a vantaggio degli associati, presupposto dell’IRAP”.
Per potersi distaccare dal precedente orientamento, però, la Suprema Corte, nella Sentenza n. 1662/15 in esame, ha dovuto operare un distinguo riguardo le effettive modalità di svolgimento della professione, sancendone l’esenzione dall’IRAP unicamente nei casi in cui “… l’associazione alla quale il contribuente aderisce non prevede sostituzione fra gli associati nell’assistenza alla rispettiva clientela e risulta finalizzata esclusivamente all’utilizzo comune di sedi, attrezzature mediche e personale amministrativo”.
Al verificarsi delle condizioni sopra richiamate, dunque, per la Suprema Corte non è configurabile l’esercizio in forma associata di un’arte o di una professione ma, piuttosto, una struttura basata sulla mera condivisione di servizi (e delle relative spese) tra soggetti, ognuno dei quali svolge autonomamente la propria attività, senza alcuna partecipazione al reddito professionale conseguito dagli altri.
Il principio sancito dalla Suprema Corte ha, dunque, una portata eccezionale se appena si consideri che, da ora in avanti, l’appartenenza ad una associazione professionale non è più, sic et simpliciter, indice di autonoma organizzazione dovendosi procedere ad una attenta valutazione delle effettive modalità di svolgimento dell’attività professionale.
Conseguentemente, se dall’accertamento sulle modalità di esercizio dell’attività dovesse risultare che l’associazione alla quale il contribuente aderisce risulti finalizzata esclusivamente all’utilizzo comune di sedi, attrezzature mediche e personale amministrativo, non sarà configurabile l’esercizio in forma associata di un’arte o di una professione, secondo il disposto recato dall’art. 2 del d. Lgs. n. 446 del 1997, ma una forma di mera condivisione di servizi tra soggetti ognuno dei quali svolge autonomamente la propria attività, trattenendo interamente il relativo reddito.
In tale ipotesi, quindi, la riconducibilità dei compensi riscossi dal medico di medicina generale nell’ambito applicativo IRAP resterà subordinata unicamente ai casi in cui, nell’esercizio dell’attività professionale, si dovesse eccedere, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile in termini di risorse materiali (beni strumentali) ed umane (personale dipendente).
La Sentenza n. 1662 del 2015 registra, dunque, un ulteriore passo verso il definitivo “sdoganamento” della professione del medico di medicina generale dall’ambito applicativo dell’IRAP, che va ad aggiungersi a quello sancito con la Sentenza n. 22020 del 2013, secondo cui anche l’utilizzo di personale dipendente da parte del MMG non rappresenta un “sicuro indice” di organizzazione autonoma, in quanto non sono rare le ipotesi in cui “… la disponibilità di un dipendente (magari part time o con funzioni meramente esecutive) non accresce la capacità produttiva del professionista, non costituisce un fattore impersonale ed aggiuntivo alla produttività del contribuente, ma costituisce semplicemente una comodità per lui (e per i suoi clienti)”.
Nonostante i buoni propositi della Corte di Cassazione, però, sembra che la strada per la definitiva esclusione del MMG dall’ambito applicativo IRAP sia ancora lunga e carica di insidie.
Basti pensare che l’Agenzia delle Entrate, dopo la Circolare n. 28/E del 28 maggio 2010, non sembra aver mostrato più interesse a riesaminare la questione lasciando, da un lato, i MMG nella più totale incertezza se corrispondere, o meno, l’IRAP e, dall’altro, i giudici tributari, sia di merito che di legittimità, a dirimere le innumerevoli controversie sottoposte al loro vaglio.
La cosa, però, che desta maggiore imbarazzo, e preoccupazione, è che a circa 18 anni dalla istituzione di questa, senza dubbio, vituperata imposta – D. Lgs, 15 dicembre 1997, n. 446 - il suo ambito applicativo è ancora tutt’altro che definito, con buona pace della certezza del diritto.
Appare, quindi, doveroso richiamare un intervento dell’On.le Giulio Andreotti che durante gli anni del suo processo ebbe modo di confidare ad un amico “… l’Italia è chiamata la culla del diritto. Il diritto deve essere rimasto nella culla”.
Dario Festa - consulente tecnico della Commissione Nazionale Fisco della FIMMG