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Sono sempre di più gli italiani che rinunciano alle cure. Per motivi economici, ma anche a causa delle liste d'attesa. Quanto il SSN italiano stia sempre più scricchiolando lo dicono gli ultimi rilevamenti dell'Istat contenuti nell'indagine "Aspetti della vita quotidiana", presentata al Senato. Dall'era pre-pandemica al 2022 il numero di chi ha fatto a meno di accertamenti e visite è passato da 3,5 ad oltre 4 milioni, pari al 7% della popolazione. La novità maggiore, però, è che la prima causa del passo indietro sono le liste d'attesa, che hanno frenato il 4,2% della popolazione, mentre per motivi economici è stato il 3,2% degli italiani a rinunciare, contro il 4,9% del 2019.
La rinuncia alle cure, informa la direttrice delle statistiche sociali e del welfare dell'Istat, Cristina Freguja, fa riferimento al totale della popolazione che necessita di visite specialistiche (escluso l'odontoiatra) o di esami diagnostici e che dichiara di averne fatto a meno per motivi economici o per la difficoltà di accesso ai servizi. «Sulle liste di attesa bisogna fare un'operazione che non è solo economica e legata ai soldi, infatti bisogna razionalizzare: ci sono persone che fanno esami inutili ed altre costrette ad aspettare lungamente.
Ci vuole un modello organizzativo diverso e occorre cercare l'appropriatezza», è il punto di vista, poco condiviso dalle Regioni, del ministro della Salute, Orazio Schillaci. Il quale giorni fa ha ribadito poi che «serve mettere nelle agende di prenotazione anche il privato convenzionato», mentre «bisogna dire basta alle liste bloccate che impediscono ai cittadini di prenotare visite e analisi». Un trucchetto che usano le aziende sanitarie tanto pubbliche che private convenzionate, quando in autunno si vedono andare fuori budget. Per ora di concreto c'è lo stanziamento di 500milioni, di cui 150 destinati al privato.
Nel 2022 si è ulteriormente ridotta l'offerta di prestazioni, senza che questa volta si possa attribuirne la responsabilità al Covid. La quota di persone che ha effettuato visite specialistiche infatti è passata in tre anni dal 42,3 al 38,8%, con punte più alte al Sud. La flessione riguarda tutte le fasce di età ma è maggiore negli anziani e tra le donne. «Contrariamente a quanto sarebbe stato auspicabile - sottolinea l'Istat - non sembra quindi che nel 2022 si sia riusciti a recuperare le prestazioni sanitarie al livello pre-pandemia».
Sempre l'Istituto di statistica nota come nella rinuncia alle prestazioni sanitarie questa volta non pesi come nel passato il «gradiente territoriale», che vedeva un minor numero di rinunce al Nord. Una differenza che si è annullata durate la pandemia e che tale è rimasta lo scorso anno. Inoltre «le disuguaglianze sociali nella rinuncia alle prestazioni mostrano, dopo il Covid, differenziali minori» e quindi «anche le fasce più abbienti sembrano aver dovuto rinunciare a prestazioni sanitarie in misura maggiore rispetto agli anni precedenti la pandemia». Due spie che confermano come il problema più urgente sia ora quello della difficoltà ad accedere alle cure a causa dei tempi d'attesa biblici.
Fonte: LA STAMPA