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Privatizzare le cure primarie «significherebbe denaturarle». L'esempio dell'Inghilterra, dove è in arrivo una piattaforma privata norvegese di medici di base che propone servizi a pagamento, «nel nostro Paese favorirebbe un'assistenza a più velocità, e, soprattutto, metterebbe a rischio la prevenzione, elemento essenziale in una visione della salute globale. E considerando che, nel giro di pochi anni, i medici laureati saranno in Italia più del necessario, ci troveremo di fronte ad un'offerta di prestazione a basso costo per le fasce meno abbienti insieme ad un impoverimento della classe medica. Un quadro tutt'altro che roseo». A tracciare la prospettiva Silvestro Scotti, in merito all'arrivo a Londra della prima sede della piattaforma che propone visite di medicina generale private. «Questa notizia - continua - me ne riporta alla mente un'altra, quella del medico di famiglia inglese che ha lasciato il suo lavoro per fare l'autista di Uber: stessi soldi meno stress. Questo la dice lunga sulla condizione dei camici bianchi anche in Inghilterra». Ma per quanto riguarda il problema del privato «il rischio in Italia, sempre in considerazione della pletora medica, è quello, sul fronte degli operatori, di un personale sottopagato». E sul fronte dei cittadini quello di «una rinuncia sempre maggiore ai controlli. Oggi un paziente viene a farsi controllare anche per una piccola cosa, e questo permette di dare indicazioni di prevenzione e stili di vita. Inoltre le prestazioni a basso costo sarebbero rivolte soprattutto alle fasce medio basse della popolazione, accentuando le differenze tra assistenza di serie A e serie B». E poi c'è la questione «dei tempi di visita. Questo tipo di privato ti offre, ad un 'tot', 16 minuti di visita. Il medico di famiglia, nel Ssn, offre il tempo necessario al bisogno di salute». Per scongiurare tutto questo «serve valorizzare i medici a partire dalla laurea. Oltre ad una seria programmazione del numero dei laureati serve, nell'ultimo anno di medicina, orientare laureandi nelle aree in cui ci sono più carenze. Questo significa portare nell'università anche la conoscenza di cure primarie e medicina d'urgenza», conclude Scotti, sottolineando che «non possiamo rinunciare alle cure primarie come servizio pubblico anche per la tipologia della nostra popolazione, con malattie croniche e molti anziani. Trasferire alla gestione privata l'assistenza primaria di una popolazione del genere sarebbe insostenibile anche sul piano economico».
Fonte Adnkronos