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«Bubbone liste d'attesa, 2,5 milioni di italiani hanno rinunciato alle cure»
Con un approfondimento realizzato insieme a Cittadinanzattiva, “Il Sole 24 Ore” denuncia «la definitiva esplosione del bubbone delle liste d'attesa, diventato oggi incurabile dopo anni di tagli alla Sanità». Secondo il quotidiano «sono quasi 2,5 milioni gli italiani (il 3,8% della popolazione) che pur avendone bisogno non si sono curati per colpa delle liste d'attesa. Se negli anni scorsi prevaleva soprattutto la paura del contagio del Covid o i motivi economici, ora sono i tempi troppo lunghi per ottenere una visita, una tac o una ecografia- spesso molti mesi fino a ben oltre un anno - la causa numero uno per non curarsi. E la cosa più grave - come certifica l'Istat - è che questa rinuncia a causa delle liste d'attesa nel 2022 ha riguardato soprattutto chi ha più bisogno e cioè chi soffre di due o più patologie croniche: si tratta di ben 1,7 milioni di italiani, un malato su sette tra quelli con "plurimorbilità". La rinuncia aumenta ovunque in Italia (esplode anche al Nord) e colpisce tutti senza distinzione di reddito a dimostrazione di come la barriera dell'accesso stia diventando un muro sempre più invalicabile dopo lo tsunami del Covid che ha allungato ancora di più le attese. L'unico modo per scavalcarlo resta mettere mani al portafogli per chi può permetterselo e infatti come rivela sempre l'Istat cresce la quota di chi paga interamente le spese per visite - il 42% nel 2022 dal 37% del 2019 - e per gli accertamenti diagnostici (dal 23% al 27,6 per cento)». E così, si legge ancora su “Il Sole 24 Ore”, «la cosiddetta spesa out of pocket è esplosa raggiungendo i 40 miliardi l'anno: in pratica un euro su quattro spesi per la sanità nel nostro Paese li aggiunge il cittadino dopo aver pagato le tasse per sostenere il Servizio sanitario. E lo fanno magari scegliendo la scorciatoia dell'intramoenia - la prestazione all'interno dell'ospedale ma pagata dal cittadino - che in alcune Regioni è esplosa superando di gran lunga l'attività ordinaria. Insomma una beffa per i cittadini. A cui si aggiunge il fatto che dei 500 milioni stanziati per la prima volta nell'agosto del 2020 e poi rimessi in pista negli anni successivi per recuperare le liste d'attesa le Regioni sono state capaci di spendere a fine 2022 solo 348 milioni con grandi variabilità e così mancano all'appello ancora 7 milioni di prestazioni saltate per il Covid».
«Dopo il report di maggio scorso che ha raccolto le singole segnalazioni dei cittadini che hanno denunciato fino a 730 giorni per una mammografia programmabile e 455 giorni per una visita endocrinologica», Cittadinanzattiva «ha realizzato una nuova fotografia in questi giorni su 4 Regioni - Lazio, Emilia, Liguria e Puglia - per sei prestazioni molto gettonate (visita cardiologica, ginecologica, pneumologica, oncologica, ecografia addominale e mammografia). Dai dati pubblicati sui siti regionali e raccolti da Cittadinanzattiva per tre Asl in ogni Regione emerge che la Puglia è la maglia nera: nell'Asl di Lecce si registrano picchi dello 0% di rispetto dei tempi sia per una visita pneumologica che oncologica con priorità D (entro 30-60 giorni), mentre nell'Asl di Bari il rispetto dei tempi per una visita ginecologica con priorità B (entro 10 giorni) avviene solo nel 9,38% dei casi e nel 14,39% per una ecografia completa all'addome con la stessa priorità, meglio nell'Asl di Taranto i tempi di attesa vengono rispettati nel 33% dei casi. Anche in Liguria la situazione è critica: per una visita cardiologica con priorità D, nell'Asl Ligure 1 (Imperia), si registrano dei tempi di attesa pari a 159 giorni; per una mammografia con priorità P (programmabile) nell'Asl Ligure 5 (Spezzino), si arriva addirittura ad attendere 253 giorni; per un'ecografia addominale completa con priorità D, nell'Asl Ligure 3 (Area metropolitana di Genova), si registrano addirittura dei tempi di attesa pari a 270 giorni, ben 9 volte superiori a quelli previsti per legge. Un po' meglio le situazioni in Emilia e Lazio dove però non mancano picchi negativi come per la visita pneumologica nell'Asl di Reggio Emilia con tempistiche rispettate solo nel 39% dei casi, o per la visita cardiologica nell'Asl di Bologna nel 57% dei casi. Nel Lazio invece per un'ecografia addominale completa con priorità B, nell'Asl Roma 4, i tempi di attesa sono rispettati solo nel 18,2% dei casi; per una visita cardiologica con priorità D nell'Asl di Viterbo i tempi di attesa rispettati nel 47,2% dei casi».
«In alcune situazioni l'intramoenia, insieme al pronto soccorso, è diventata per paradosso la principale porta di accesso dei cittadini al Servizio sanitario nazionale, altrimenti rallentato da liste di attesa troppo lunghe, una emergenza che va contrastata urgentemente per riaffermare il diritto dei cittadini alla salute pubblica», ha detto Anna Lisa Mandorino, Segretaria generale di Cittadinanzattiva, a “Il Sole 24 Ore”. Secondo Mandorino «serve un investimento sulle risorse umane e tecniche e un conseguente ampliamento degli orari di apertura al pubblico degli ambulatori, nonché attraverso la messa in rete nei Cup delle agende di prenotazione di tutte le strutture sanitarie pubbliche e private convenzionate per favorire una migliore programmazione e trasparenza. E non da ultimo bloccando, a livello regionale, le prestazioni in intramoenia laddove queste superino come numero quelle erogate nel canale pubblico, come previsto dallo stesso Piano nazionale di governo delle liste di attesa».